Riccardo Nalin verso il «Giro dei Giganti»

A settembre parteciperà al «Tor del Géants» in Valle d’Aosta, il trail più duro al mondo. 330 chilometri di resistenza fisica e mentale.

Riccardo Nalin verso il «Giro dei Giganti»
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Riccardo Nalin verso il «Giro dei Giganti»

«Parto con il cuore, continuo con le gambe, finisco con la testa».

Così vive la passione per il Trail Running, con questo spirito si impegna nell'allenamento ogni giorno, è una certezza che alimenta il suo amore verso la montagna. Riccardo Nalin, classe 1976, operatore ecologico per Etra, cammina e corre da sempre, fin da quando seguiva le orme del padre. Da circa quattro anni vive la sua passione come una sfida continua, una scommessa con se stesso, un motore che accende l'anima e costruisce progetti grandi. A settembre parteciperà al «Tor del Géants» in Valle d’Aosta, il «Giro dei Giganti», considerato il trail più duro al mondo. Una sfida che mette in campo resistenza fisica, ma soprattutto mentale. Ad ascoltarlo sembra quasi che voglia conservare la sua passione con gelosia, lontano dal «consumismo» che spesso oggi lancia lo sport nel palcoscenico mediatico. Lui preferisce considerare il suo correre una «cosa sua, intima e personale», un bisogno, una risposta, uno stimolo a salire sempre più su, tra le vette della natura e della conoscenza profonda di sé.

Quando la tua passione è diventata voglia di mettersi in gioco? Quando le prime competizioni? Cosa significa partecipare a sfide e gare?

«Ho iniziato a partecipare alle prime gare circa tre anni fa. Ho sempre praticato il trekking, poi mi sono appassionato al Trail Running dedicando a questo tutto il mio tempo fuori dal lavoro. Dedico all’allenamento quattro o cinque giorni a settimana, con intervalli. La mia palestra è il Massiccio del Grappa, minimo cento chilometri a settimana. E’ una passione che cresce, che mi ha spinto ad andare avanti, a pormi delle sfide. Ci si iscrive alle gare per il gusto di partecipare, per la soddisfazione di iniziare e terminare il percorso. E’ come un progetto personale che si porta a compimento. E nel mio progetto ci sono anche la forza e l’incoraggiamento di mia moglie e delle mie due figlie. Un sostegno che mi accompagna e mi incita a continuare».

A settembre affronterai una grande sfida, la più grande fin’ora.

«Parteciperò al “Tor del Géants” in Valle d’Aosta, il Giro dei Giganti. E’ considerata il trail più duro al mondo, percorre i sentieri delle Alte vie della regione con partenza ed arrivo a Courmayeur. La prova si svolge in una sola tappa, 330 chilometri a velocità libera e in un tempo limite di 150 ore, in regime di semi-autosufficienza con l'indispensabile per la sussistenza e con la possibilità di rifornirsi unicamente presso dei punti di assistenza prestabiliti. 24 mila metri in salita fino a raggiungere vette di 3.300 metri, altrettanti in discesa, ai piedi dei quattro massicci da quattromila metri della regione: Monte Bianco, Monte Rosa, Gran Paradiso e Cervino. Si tratta di impegnarsi 24 ore continuative, notte e giorno. In media la metà degli iscritti arriva al traguardo. Il resto cede prima. E’ il sogno di chiunque corra in montagna. Una grande sfida dal punto di vista fisico, ma anche di testa. Si tratta di dover allenare anche la propria resistenza mentale. Sembra banale, ma la battaglia più grande è quella contro il sonno, la difficoltà di stare svegli, di stare connessi con la realtà e con il tempo. Ha fatto molto discutere la morte di un atleta cinese al Tor. Questo rende l’idea della sfida e dell’estremo che il percorso porta ad affrontare».

Come ti alleni in vista di questa grande sfida?

«Tutte le gare che farà da qui a settembre sono allenamenti per il Tor. Farò il Trail del Contrabbandiere a giugno, e il Trans D’Havet a luglio, rinomato trail delle Piccole Dolomiti con più di 80 chilometri di percorso, anche di notte. Questo mi servirà proprio per allenarmi durante la notte».

Che senso hanno queste sfide? Qual è la soddisfazione, il termine ultimo?

«La libertà. Quando sono in montagna mi sento a casa. Unire questa sensazione alla sfida di correre, mi dà un senso di libertà inspiegabile. Vivere la natura della montagna in solitudine mi ha sempre riempito il cuore. E’ la mia dimensione, il mio sfogo, lo svago che apre la mente e solleva lo spirito. Faccio gli stessi sentieri sempre, ma non sono mai uguali. Ogni stagione, ogni giorno, porta qualcosa di diverso. E ogni anno non è mai uguale all’altro. La neve, le foglie, i rumori, la vista, gli orizzonti. E’ un continuo cambiamento, un continuo svelarsi che dà pace. E stare in questi contesti sfidando se stessi e contando solo sulle proprie forze, accende un contatto con il profondo che non si può spiegare. Il mio sport è questo. Non è solo dimensione fisica, ma esperienza totalizzante che mi riscopre come uomo e mi aiuta vivere la natura come miracolo».

 

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