Vicenza Jazz con Shai Maestro e David Virelles & Ambrose Akinmusire

Giovedì 16 maggio il festival New Conversations – Vicenza Jazz offrirà un punto di ascolto privilegiato sui fenomeni emergenti della scena jazzistica statunitense.

Vicenza Jazz con Shai Maestro e David Virelles & Ambrose Akinmusire
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Vicenza Jazz con Shai Maestro e David Virelles & Ambrose Akinmusire

Giovedì 16 maggio il festival New Conversations – Vicenza Jazz offrirà un punto di ascolto privilegiato sui fenomeni emergenti della scena jazzistica statunitense. Al Teatro Comunale (alle ore 21) un doppio set ospiterà talenti provenienti da ogni parte del mondo affermatisi nella stimolante e competitiva scena newyorkese: il pianista israeliano Shai Maestro (in trio con Jorge Roeder al contrabbasso e Ofri Nehemya alla batteria) e il pianista cubano David Virelles, protagonista di un duo in prima assoluta col trombettista californiano Ambrose Akinmusire.

Di stampo newyorkese è anche il concerto al Jazz Café Trivellato - Bar Borsa (ore 22), con una all stars di campioni del linguaggio post-boppistico: il Black Art Jazz Collective, con Jeremy Pelt alla tromba, Wayne Escoffery al sax tenore, James Burton III al trombone, Xavier Davis al pianoforte, Vicente Archer al contrabbasso e Johnathan Blake alla batteria.

La lunga notte di Vicenza Jazz proseguirà poi col concerto di mezzanotte al Cimitero Acattolico: un ascolto poetico sulle liriche dell’Antologia di Spoon River in un contesto suggestivo, con la vocalist Diana Torto e il Trio Ammentos (Peo Alfonsi alla chitarra, Fausto Beccalossi alla fisarmonica e Salvatore Maiore al contrabbasso). In caso di pioggia il concerto si sposterà nella Chiesa di Santa Corona.

Il Festival New Conversations – Vicenza Jazz 2019 è organizzato dal Comune di Vicenza e dalla Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza, in coproduzione con Trivellato Mercedes Benz e in collaborazione con il Bar Borsa.

Nato nel 1987 in Israele, a lungo membro della band del contrabbassista Avishai Cohen, Shai Maestro ha debuttato come leader col suo trio nel 2011. La band, con base a New York, da allora ha pubblicato cinque dischi, il più recente dei quali, The Dream Thief, ha segnato il debutto su etichetta ECM.

Colpisce nel segno il tocco personale di Shai, evidentemente formatosi nell’ambito della musica classica, ma capace di sviscerare il più intenso jazz feeling anche quando è alle prese con materiali eterogenei. In lui convivono una esuberante vena improvvisativa, la capacità di non perdere mai di vista l’aspetto melodico, la ricerca di un momento di simbiosi tra jazz, classica, folclore mediorientale e dell’Europa dell’Est. Queste mille sfumature geo-etniche, la sovrapposizione di colto e popolare, romanticismo e minimalismo si ritrovano nelle seducenti trame sonore di The Dream Thief.

È negli incontri come quello, in prima assoluta, tra Ambrose Akinmusire e David Virelles che si manifesta il senso profondo delle New Conversations vicentine: la capacità di portare a dialogare tra loro artisti che hanno molto da dire individualmente.

David Virelles, da qualche stagione, è un ‘osservato speciale’: critici e addetti ai lavori ne hanno già da tempo individuato l’enorme potenziale e lo attendono in qualunque possibile contesto, per apprezzarne la maturazione. Nato a Cuba nel 1983, ma di base a New York dal 2009, ha suonato con Henry Threadgill, Steve Coleman, Chris Potter, Mark Turner, Tomasz Stańko. Come leader ha inciso per la Pi e soprattutto l’ECM, che non si è fatta sfuggire questa nuova rilevante voce della scena newyorkese.

Ambrose Akinmusire, originario di Oakland (California) dove è nato nel 1982, fu notato mentre ancora frequentava la Berklee High School da Steve Coleman, che lo chiamò poi nei suoi Five Elements: aveva allora solo 19 anni. Ma nello stesso periodo veniva convocato anche da Joe Henderson, Joshua Redman e Billy Higgins.

Tutt’altro che appagato, dopo quella esaltante esperienza Akinmusire torna a studiare, alla Manhattan School of Music e poi sulla West Coast. Frequenta il Thelonious Monk Institute di Los Angeles, vincendo nel 2007 la prestigiosa Thelonious Monk International Jazz Competition. Registra di lì a poco il primo album a suo nome, per la Fresh Sound New Talent, ma viene anche notato da Bruce Lundvall, presidente della Blue Note Records: nasce così il suo disco When The Heart Emerges Glistening, il primo di una serie di incisioni per la storica etichetta che hanno messo in chiara luce il talento del trombettista, proiettandolo rapidamente ai vertici della scena internazionale. Da allora, disco dopo disco, Akinmusire ha raggiunto nuovi vertici nel controllo del suono, la gamma timbrica, la capacità di sovraccaricare di espressività la matrice post-bop.

Diana Torto si unisce al Trio Ammentos per dare vita a uno spettacolo capace di ricreare in musica le infinite sfumature dell’animo umano rievocate dei personaggi dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master. Il gruppo attinge a questo capolavoro della letteratura americana trovandovi liriche ideali per la propria musica dalla vocazione melodica e ricca di pathos.

Il Trio Ammentos (in sardo “ricordi”) si è formato nel 2003, ma i suoi membri erano già legati da numerose precedenti collaborazioni in altri contesti. La creazione del trio ha permesso loro di fondere assieme sonorità classiche, etniche e jazz. Evidenti sono la comune carica interpretativa, il carattere romantico delle loro composizioni, l’amore per i ritmi di matrice etnica.

Diana Torto, cantante di formazione più strettamente jazzistica, ha collaborato con artisti come Kenny Wheeler, John Taylor, Mike Stern, Nguyên Lê, Uri Caine, Louis Sclavis e, sul fronte italiano, Paolo Damiani, Danilo Rea, Stefano Battaglia, Paolo Fresu, Enrico Rava…

A decenni di distanza dai momenti più accesi della lotta per i diritti civili, la questione dell’identità afroamericana è ancora un argomento politicamente e socialmente saliente negli odierni Stati Uniti. Il Black Art Jazz Collective imbocca una via a modo suo originale per esprimere la propria posizione, strettamente musicale, sull’argomento: quella di celebrare la black culture con un approccio decisamente positivo anziché di contrapposizione o rivendicazione.

Fulcro del collettivo sono stati il batterista Johnathan Blake, il sassofonista Wayne Escoffery e il trombettista Jeremy Pelt, coetanei e tutti arrivati più o meno contemporaneamente sulla scena newyorkese, dove le loro strade si incrociarono all’interno di gruppi guidati da leader del calibro di Tom Harrell, Bobby Hutcherson, Wayne Shorter, Ron Carter. Si sono poi aggiunti all’organico James Burton III e Xavier Davis, oltre al bassista Dwayne Burno, purtroppo scomparso poco dopo l’esordio concertistico della formazione, nel 2013.

Trovata una nuova stabilità con l’inserimento di Vincente Archer, il gruppo ha chiaramente annunciato il suo messaggio musicale nel disco d’esordio, Black Art Jazz Collective Presented By The Side Door Jazz Club. In esso sentiamo all’opera una eloquente all stars che mette in prima linea alcuni dei migliori solisti della ‘generazione di mezzo’ della scena newyorkese più saldamente legata alla tradizione del linguaggio post-boppistico.

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