Riscoprire la bellezza e le radici nel dialetto veneto

Ruggero Pegoraro, 72 anni ex professore, ha realizzato un’opera particolare. Si tratta di un elaborato che coniuga conoscenza e passione.

Riscoprire la bellezza e le radici nel dialetto veneto
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Riscoprire la bellezza e le radici nel dialetto veneto

In questi mesi al centro del dibattito pubblico c’è il riconoscimento della lingua veneta. Ruggero Pegoraro, 72 anni ex professore, ha realizzato un’opera particolare: un elaborato sulla lingua veneta.

«Sono figlio di un costruttore di macchine agricole, quindi la mia infanzia l’ho trascorsa in campagna. A 23 anni mi sono laureato in matematica a Padova, poi per molti anni ho insegnato italiano alle scuole medie di Belvedere. Da una decina di anni sono in pensione e mi sono appassionato a questo tipo di lavoro di ricerca. La storia mi ha sempre appassionato e, abbinando le conoscenze che avevo acquisito nel corso della mia infanzia con quelle storiche dei vari paesi limitrofi acquisite nei vecchi libri, ho raccolto e catalogato circa 500 termini di uso comune in lingua veneta. Grazie all’aiuto di un vocabolario etimologico sono riuscito a dare a ciascuno di loro un significato e la sua derivazione. Questo mi ha appassionato molto in quanto mi ricordava gli anni delle elementari, dove l’italiano ci creava non pochi grattacapi essendo abituati a parlare in lingua veneta. Per noi si trattava di una vera e propria lingua straniera in quanto eravamo senza vocabolario e molti termini non si assomigliavano per nulla. Per esempio, il goto è il bicchiere, il piron la forchetta e la carega la sedia. Il dialetto veneto era fatto di una immediatezza unica legata alla cultura contadina. Quando ho iniziato ad insegnare, verso gli anni ’70, c’erano queste difficoltà di apprendimento. Tornando ai giorni nostri, grazie ad una ricerca all’istituto linguistico veneto, ho realizzato questo elaborato dove ho steso una premessa storica illustrando che nel Veneto non esiste un solo dialetto, ma una ventina di sottodialetti dove il più importante è quello veneziano, riconosciuto dall’Unesco. Nella nostra zona parliamo quello del Brenta. Durante i secoli della Serenissima, il veneto era una lingua usata nei rapporti commerciali con tutti i paesi del Mediterraneo. Oggi è parlata da circa 3,5 milioni di persone, due milioni in Italia e il restante in America Latina dagli immigrati veneti. Purtroppo, a causa della globalizzazione e all’uso di termini inglesi, è una lingua in via di estinzione. Di questo passo condanneremo la nostra antica cultura Veneta. Dopo l’introduzione storica, ho elencato in ordine alfabetico i termini che ho raccolto. Il nostro dialetto locale risente la forte influenza della lingua gotico-longobarda, per fare un esempio Brenta deriva da “Brint” in gotico che significa “Fonte”. Friola deriva da “Fariola” ovvero un piccolo insediamento di Longobardi. Via Brega assomiglia molto a “Berengario”, il Re Italico sconfitto dagli Unni nella battaglia di Cartigliano dell’anno 899. Dal dominio veneziano derivano molti termini come Baengo, bicier, bisi, mojer, mona e vaneda. Altri derivano dal francese come buso, cotoe, forajo, magnaga, sacranon, schifo, struccare e cucciarse. Un altro termine di uso comune è schei, in italiano moneta. Questa parola deriva dall’austriaco “Scheid Munz”, monete in circolazione durante l’occupazione lombardo-Veneta, dette anche “schei del mona”. Ho completato questo lavoro con un centinaio poesie in dialetto veneto, oltre la metà che raccontano la vita di campagna. Tutto questo l’ho rilegato a titolo personale, però se qualcuno più competente di me vuole farmi da supporto, potrebbe diventare un bel libro».

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