Vende giornali a Schio per far studiare i suoi tre figli

Gestisce la sua attività da 21 anni. Sei mesi dopo aver conosciuto Paola l'ha sposata.

Vende giornali a Schio per far studiare i suoi tre figli
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Si chiama Mustafà e vende giornali nel cuore di Schio. Grazie alla sua edicola, che gestisce da 21 anni, ha potuto far studiare i suoi tre figli.

Mustafà, da Casablanca a Schio

«Sono originario di Casablanca, ma oramai sono un cittadino italiano. Sono giunto in Italia da giovane, ho avuto modo di girare il mondo e fare numerose esperienze. Qui ho conosciuto Paola e dopo sei mesi ci siamo sposati. Sono ventun anni che gestisco l’edicola di piazzale Garibaldi e, nonostante la vita molto faticosa, non farei un altro mestiere». E’ un fiume in piena Mustafà, 61 anni, marocchino di nascita, cosmopolita per vocazione, thienese per scelta e scledense per passione. Aprendo la porta della sua edicola è impossibile non restare travolti dal suo sorriso e dalla grande attenzione nei confronti della clientela. Basta che veda una persona avvicinarsi e prepara già il giornale che sa che prenderà e, qualora lo avesse ordinato, sfila con estrema sicurezza il cartaceo dalla cartellina arancione che ha in calce il nome del cliente. Prepara anche il resto, sapendo già con quale moneta o banconota è solito usare pagare.
Si è lasciato il Marocco alle spalle. Come è stato l’impatto con l’Italia?
«Bellissimo. Mi sono subito trovato bene e un giorno, mentre ero al mercato a Thiene, ho visto una ragazza bellissima. Ho iniziato a chiacchierare con lei ed è stato subito amore. Dopo sei mesi ci siamo sposati e poi sono nati Yashmine, Abla e Nouha. Sono ciò che di più bello io abbia mai avuto».
Come mai ha pensato a un’edicola?
«E’ stata una bella occasione e mi piace il contatto con le persone. E’ un modo per incontrare tanta gente, ognuno ha la propria storia, una parte di sè che racconta e che ti regala».
E’ mai stato vittima di forme di razzismo?
«Assolutamente no. Tante persone si lamentano del razzismo che c’è in Italia, di sicuro degli elementi ci sono, ma forse dovreste vedere cosa c’è all’estero. Poi da noi, in Marocco, il razzismo è ancora più accentuato, sia fra diverse classi sociali, sia per il colore della pelle. Quello che c’è a Schio in confronto non è nulla».
La crisi ha colpito pressoché tutti, lei come l’ha affrontata?
«Purtroppo dal 2008 siamo travolti dalla crisi e io ho segnato circa il 40% di calo. Da una parte poi i giovani leggono poco e dall’altra sono molto più portati a una comunicazione web e questo ha ucciso le edicole. E dal 2011 c’è stata una vera mannaia. E’ un lavoro faticosissimo e pochi hanno idea di cosa significhi fare questo mestiere».
Ci aiuti a farci un’idea...
«Si apre alle 5 e si chiude alle 19 potendo godere solo di un’ora e mezza di pausa. Un’edicola è chiusa solo quattro giorni all’anno per cui non è certo una vita facile, i sacrifici sono davvero tantissimi...».
Se tornasse indietro rifarebbe la scelta che ha fatto?
«Assolutamente sì. Per me ogni sforzo era finalizzato alla mia famiglia e a far studiare i figli, per cui direi che il mio obiettivo sia stato raggiunto. Ho sempre voluto che avessero un buon livello di istruzione e che a loro non mancasse nulla. Oggi poi ho anche due bellissimi nipotini che, compatibilmente con i vari impegni, cerco di coccolare come posso. I sacrifici sono stati davvero molti, ma ne è valsa la pena. In tanti poi mi dicono che sono “stato fortunato”. Certo, da una parte sono certamente stato fortunato, ma non è solo fortuna, ho lavorato tanto per ottenere questi risultati per la mia famiglia, per cui non è un caso. E’ un progetto che, giorno dopo giorno, è stato disegnato e costruito con mia moglie. E ne siamo fieri e orgogliosi».
Pensa mai alla pensione, vista magari la vita molto faticosa che conduce?
«Assolutamente no. Spero di avere la salute per proseguire questo mestiere. Non è facile, certo, ma è la mia vita. Mi piace incontrare le persone, chiacchierare e confrontarmi con loro, ma sempre senza invadenza o curiosità. Se una persona vuole dialogare io ci sono, se uno preferisce il silenzio io lo rispetto».
Non ha mai nostalgia del suo paese? Non vorrebbe tornare?
«Le mie radici sono là, ma io oramai sono un cittadino italiano e la mia famiglia è qua. Io non ho fatto come tanti miei connazionali che hanno messo da parte i soldi per costruire là case e ville e farsi vedere agli occhi degli altri. Io ho investito tutto per la famiglia e lo studio, io là non ho nulla e non mi interessa. Ho la dignità e questo è l’abito migliore da indossare in ogni paese. Non ho mai neppure pensato di portare là i miei figli: sono italiani e la loro vita è nata e si è formata qui, quindi perché sradicarli e portarli in un paese che non appartiene loro? Non avrebbe senso, sarebbe una scelta egoistica da parte mia. Poi magari un domani, quando sarò in pensione, allora andrò qualche volta in Marocco. Anche se là non ho nulla a me non serve molto. Mi basta una stuoia, un capello e posso stare seduto in mezzo alla gente della strada. A me non interessa che una persona sia ricca o povera, posso guardare in faccia tutti, non ho alcun problema. Sono in pace con me stesso e quando lo si è con se stessi lo si è con tutti. E in qualunque parte del mondo».

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