"Tutti volevano che abortissi. Elisabetta è un miracolo"

Il suo "caso" per la beatificazione di Renato Baron.

"Tutti volevano che abortissi. Elisabetta è un miracolo"
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Roberta Bicego subisce un intervento in anestesia generale dopo aver fatto una Tac. Poi scopre di essere incinta e le viene consigliata l'Ivg. I dubbi scompaiono e trionfa la vita. Oggi Elisabetta Maria oggi ha 23 anni.

Il suo no all'aborto

«Tutti mi dicevano di abortire, ma per mia figlia ho scelto la vita. Forse ho vacillato, ma grazie a Renato Baron ho trovato quelle conferme che avevo già dentro di me e oggi la mia vicenda è fra le carte per la sua beatificazione». E’ un fiume in piena Roberta Bicego, 49 anni, nel ripercorrere una lunga storia scritta con il pennino intinto nel calamaio dell’amore e della fede. Roberta, consacrata al Cuore Immacolato di Maria, Regina dell'Amore, dal maggio del 1995, assieme a colui che dopo un mese, il 24 giugno, divenne suo sposo. Dal loro amore nascono Elisabetta Maria, 23 anni, Annalisa Teresa, 22 e Giovanni Francesco 20.
Partiamo dal principio. Poco dopo il matrimonio iniziano i dolori alla schiena.
«Iniziarono a farmi molto male la schiena e la gamba destra, tanto da ricorrere più volte al Pronto soccorso per terminare con terapia analgesica e iniezioni antinfiammatoria che, però, poco mi giovavano. Un giorno mi trovavo in chiesa a pregare. Ero in ginocchio e, non riuscendo quasi più a rialzarmi, né tantomeno a camminare, mio marito mi portò in braccio in auto e per l'ennesima volta al Pronto soccorso. Con l'autoambulanza gli Operatori Sanitari mi condussero all'Ospedale di Arzignano per sottopormi ad una Tac; da questo esame fu diagnosticata una grossa ernia vertebrale in L5, così fui ricoverata e il 7 settembre del '95 il primario di Ortopedia mi operò in anestesia generale».
Dopo il ricovero giunge una notizia...
«Nel frattempo del ricovero, durato 15 giorni, non arrivandomi il ciclo mestruale, già ormai da tempo, feci il test di gravidanza. Una infermiera, assettandomi il letto, mi disse: “ti auguro di non essere incinta, perché tra farmaci, Tac, e anestesia generale, le cose non andrebbero di certo bene”. A quelle parole rimasi alquanto turbata, anche perché un figlio lo desideravo immensamente già appena sposata. Alle dimissioni venne a prendermi mio zio, padre Ernesto, missionario in Guinea Bissau, che in quel periodo era qui i Italia. Proprio prima di partire, la coordinatrice, a testa bassa, mi fece entrare nello studio medico, alzò gli occhi e con voce sommessa ed espressione gravosa mi disse: ”è positivo”. Mi consegnò il referto del test di gravidanza, mentre io ero come paralizzata: un'ondata violenta di emozione mi assalì; avrei voluto tanto sprizzare di gioia, ma mi prese un forte turbamento. Uscii dallo studio e con lo zio, padre Ernesto, in piedi nel corridoio dell'Ortopedia scoppiai in pianto. Lo zio cercò di tranquillizzarmi. Andammo a parlare con l'ortopedico in turno, il quale mi consegnò la lettera di dimissioni e mi fece subito consultare un ginecologo. Questi aumentò la mia angoscia, parlandomi dei rischi molto alti legati ai farmaci analgesici e antinfiammatori che avevo assunto, all'anestesia generale e soprattutto alle radiazioni prolungate della Tac che con elevate probabilità avrebbero colpito il feto, con possibili conseguenti malformazioni. Il suo immediato e risoluto consiglio fu quello di abortire».
Il consiglio dunque è l’aborto...
«Tornai a casa proprio il 14 settembre, giorno dell'Esaltazione della Croce. Non trovai terreno facile, perché solo mia suocera mi disse di fare ciò che ritenevo giusto, tutti gli altri cari e parenti che si pronunciarono al riguardo, mi invitavano ad abortire il più presto. Una zia, con aria di rimprovero, mi disse come potevo rischiare di mettere al mondo un mostro. Lo zio padre Ernesto taceva, ma sapevo quanto pregasse per me. Disperata presi appuntamento per l'aborto all'Ospedale, unica strada che il mondo mi presentava; ma non mi sentivo bene; non era la soluzione; il dolore mi avvolgeva completamente, grazie a Dio; troppo grande era il desiderio di accogliere ed amare quella creatura che con fede avevo chiesto al Signore per me ed il mio sposo; non potevo reprimere quella profonda tenerezza e quell'amore materno che suscitavano dal grembo. Premetto che il ginecologo su mia richiesta aveva consultato rinomati centri di ricerca medica riguardo il problema e con ferma risoluzione mi spingeva ad abortire. Ero sola con me stessa, con il mio dolore e con il mio Dio, ma non avevo il discernimento su cosa fosse realmente l'aborto: un delitto terribile! Forse dal mio Angelo Custode o proprio da Maria Santissima, Regina dell'Amore a cui ero consacrata, fui spinta al Cenacolo di San Martino e di lì a subito partii».
E lì si imbatte in Renato Baron.
«Appena giunta ebbi la grazia di trovare proprio Renato Baron e di potergli subito parlare, confidandogli il dramma ed esprimendogli la mia sofferenza. Lui mi invitò ad accogliere con amore e fede la creatura che portavo in grembo, dono del Signore e mi pronunciò queste sante, per me illuminanti parole: “Quanto più crederai nella Madonna e ti saprai affidare, tanto più Lei potrà aiutarti”. A proposito di queste sue sante parole, c'è una frase del messaggio della Regina dell'Amore del 18 dicembre 1988 che dice: “...Avrete il mio aiuto nella misura in cui vi affidate a me….”. Renato mi assicurò le sue preghiere e da lì mi congedai con una luce interiore, una forza di speranza che non venivano certo da me e che mi esortavano come a percorrere un viaggio in cui non mi sarei mai trovata sola».
Un incontro che le ha cambiato la vita... e ne ha salvata un’altra.
«Ho disdetto con decisione e appena in tempo l'appuntamento per l'aborto ed amavo il mio piccolo con tutto il mio cuore: pregavo molto e mi recavo ogni giorno o quasi alla Santa Messa: la Croce abbracciata e portata con viva speranza diventava Amore».
E la piccola viene alla luce, sana e bellissima.
«Elisabetta Maria nacque la domenica del 12 maggio 1996, festa della mamma e questo fu un segno importante di Dio per me. Esultava Suor Madre Prima che operava e vivendo e portando il Vangelo nell'Ospedale di Valdagno e che conosceva la storia, ed esultava pure il ginecologo che mi ero scelta, obiettore di coscienza, che mi ha accompagnata durante la gestazione trasmettendomi sempre viva speranza; condivise la mia gioia anche Renato Baron a cui telefonai poco dopo il parto informandolo della Grazia ricevuta e ringraziandolo di cuore per le preghiere di intercessione. Il primo e più grande miracolo fu la sapienza ricevuta sulla inequivocabile scelta di portare avanti la gravidanza, luce che mi ha fatto comprendere che io e nessuno ha diritto sulla Vita e che essa, già appena concepita va accolta e rispettata e difesa come primo valore assoluto, come principio fondamentale dell'essere. Il secondo miracolo è stato la salute di Elisabetta Maria».
Oggi non prova rancore verso alcuno?
«Non ho portato rancori con nessuno, tanto meno verso mio marito, perché il dono ricevuto è stato così grande da guarire ogni ferita ed abbracciare ogni fragilità e miseria umana».
Sua figlia cosa dice di questa vicenda?
«A Elisabetta ho comunicato questa esperienza di Grazia di cui lei è protagonista, il 31 dicembre 2010 a Medjugorie, sul monte Podbrdo, io e lei sedute vicine alla statua della Madonna e qui in questa terra baciata da Dio, San Martino, in occasione del meeting 2011, con la mia famiglia, ho dato testimonianza ai fedeli raccolti. E questo cercai sempre di farlo, con la preghiera personale e comunitaria e con la testimonianza concreta, volta a trasmettere la consapevolezza che la Vita va accolta come dono di Dio e sempre difesa in qualsiasi situazione si trovasse la madre, ad ogni costo, senza se e senza ma».

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