Impiegati clandestini cinesi lavoravano (e vivevano) in un laboratorio sudicio a Rossano Veneto
L'operazione della Guardia di Finanza.
Nei giorni scorsi i finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Vicenza, attraverso la valorizzazione degli elementi informativi tratti dalla metodologia operativa fondata sull’analisi di rischio economico-finanziaria e ad esito di apposita attività di intelligence, hanno concluso un’attività a contrasto del sempre più insidioso fenomeno delle società c.d. “apri e chiudi”, realizzato in particolar modo da amministratori extracomunitari che, avvicendandosi nelle cariche aziendali, aprono aziende e poi le chiudono nel breve periodo, con la conseguente irreperibilità del titolare insolvente verso debiti tributari.
Impiegati clandestini cinesi lavoravano (e vivevano) in un laboratorio sudicio a Rossano Veneto
In particolare, le Fiamme Gialle del Gruppo di Bassano del Grappa, nel corso di un controllo di natura tributaria e in materia di sicurezza sul lavoro eseguito congiuntamente ai funzionari dell’Ispettorato del Lavoro di Vicenza e con il Servizio di Prevenzione, Igiene e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell’ULSS 7 Pedemontana di Bassano del Grappa, presso un laboratorio artigianale di Rossano Veneto (VI) operante nella lavorazione di sacchetti in tela per il contenimento di prodotti calzaturieri e di pelletteria di alta gamma e gestito da L.X., 36enne originario della Repubblica Popolare Cinese, hanno eseguito il sequestro preventivo con matrice d’urgenza di tutti i locali aziendali e delle attrezzature ivi presenti.
L’attività ispettiva, avviata con l’esecuzione di un accesso presso i locali aziendali, ha consentito di identificare n. 24 lavoratori di nazionalità cinese, di cui 7 sono risultati impiegati “in nero”, senza alcuna comunicazione obbligatoria preventiva e, dunque, senza alcuna copertura assicurativa e previdenziale. Gli accertamenti posti in essere nell’immediatezza dalle Fiamme Gialle bassanesi hanno permesso anche di rilevare che 3 dei 7 lavoratori “in nero” erano privi del permesso di soggiorno e quindi presenti in modo irregolare sul territorio nazionale in violazione al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
Durante il controllo è stato accertato che parte dell’opificio era stato riadattato a dormitorio, riscontrando sette posti letti ricavati mediante suddivisione dello spazio con cartongesso e privi dei requisiti dimensionali, di aerazione e illuminazione prescritti, i servizi igienici in cattive condizioni di pulizia e il locale cucina sito al piano interrato del tutto privo dei requisiti minimi igienico-sanitari previsti.
Sono state constatate numerose ulteriori violazioni del testo unico per la salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/08), attesa la presenza di macchine da cucire, occhiellatrici e ricamatrici mancanti dei necessari sistemi di protezione; anche il sistema di riscaldamento è stato riscontrato non a norma, la caldaia non compartimentata, le vie di fuga ostacolate da materiali e macchinari. Tutti i lavoratori presenti operavano peraltro in violazione delle prescrizioni governative del protocollo anti COVID-19 e in assenza di formazione antinfortunistica.
Le attività ispettive eseguite hanno portato alla segnalazione alla Procura della Repubblica di Vicenza del cittadino cinese per violazioni all’art. 22 del D.Lgs. 286/1998, in quanto utilizzava manodopera extracomunitaria priva di permesso di soggiorno e agli artt. 17, 43, 63, 64, 71 e 81 del D.Lgs. n. 81/2008, ovvero in violazione delle disposizioni in materia di salute e di sicurezza sul lavoro. Inoltre, i tre cittadini lavoratori di nazionalità cinese risultati privi di permesso di soggiorno, sono stati denunciati alla citata Autorità Giudiziaria per la violazione dell’art. 10bis del D.Lgs. 286/1998, per ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.
Alla luce delle numerose irregolarità e le violazioni alla normativa posta a tutela dei lavoratori, al fine di impedire la protrazione del reato e la messa in pericolo dei dipendenti e di tutti i soggetti che all’interno di quei luoghi vivevano e lavoravano, le Fiamme Gialle, l’Ispettorato del Lavoro e lo S.P.I.S.A.L. hanno proceduto al sequestro preventivo d’iniziativa, ex art. 321, comma 3 bis c.p.p. dell’azienda, posta all’interno di una porzione di immobile adibito a locale produttivo, facente parte di un più ampio mappale, sita la piano terra e della superficie di circa 500 mq, di nr. 46 macchine da cucire professionali e degli impianti di riscaldamento, elettrico e pneumoforo.
Inoltre, è stato emesso un provvedimento amministrativo di sospensione imprenditoriale dell’attività a carico della ditta individuale controllata, ai sensi dell’art. 14, comma 1 del D.Lgs. n. 81/2008, per l’impiego di lavoratori “in nero” in percentuale superiore al 20% del totale presente al lavoro.
L’attività investigativa complessivamente eseguita è stata valutata pienamente attendibile dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale competente che, condividendo la prospettazione accusatoria, ha emesso un decreto di convalida del citato sequestro preventivo operato.
Oltre alle conseguenze penali relative all’impiego di lavoratori clandestini ed alle gravi violazioni in materia di sicurezza sul lavoro, verranno impartite anche sanzioni amministrative per l’impiego dei lavoratori “in nero” che, comprensive del provvedimento di sospensione dell’attività sopra citato, ammontano ad € 30.000,00 (trentamila) circa.
L’operazione in questione, che si inquadra nella costante azione di contrasto ai fenomeni illegali connessi alle frodi fiscali, all’economia sommersa e all’immigrazione irregolare, è stata sviluppata in modo trasversale facendo leva sulle peculiari funzioni di polizia economico-finanziaria del Corpo ed è stata condotta nella prospettiva di assicurare all’Erario e alla giustizia, attraverso il sequestro preventivo eseguito, l’apprensione a vantaggio della collettività dei beni suscettibili di confisca e porre un freno al fenomeno delle imprese “apri e chiudi” che arrecano grave nocumento all’artigianato locale in termini di leale concorrenza di mercato.