«Essere missionari anche a casa nostra»

Al Kenya di Suor Adriana Canesso e alla giovane rosatese Ansah Nafisatu Wiafe la prima borsa di studio in memoria di Padre Bruno Marchetti.

«Essere missionari anche a casa nostra»
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«Essere missionari anche a casa nostra»

Un'intensa mattinata di riflessione, quella dello scorso 12 maggio, nel salone dell'Oratorio Don Bosco nell'ambito della Festa «Primavera a Colori» organizzata dall’Associazione Amici del Villaggio che, nonostante il tempo avverso, ha fatto il pieno di entusiasmo e partecipazione animando per l’intera giornata tutte le aule allestite per i laboratori e le attività di bambini e ragazzi. «Il coraggio di agire» è stato l'argomento portante dell'intera manifestazione, contesto che ha abbracciato tematiche profonde ed estremamente attuali come il dialogo, il confronto, il progresso, le diverse forme di povertà, il bisogno di ascolto. Se ne è parlato a lungo all'interno dell'incontro organizzato in occasione della consegna della prima borsa di studio in ricordo di Padre Bruno Marchetti, missionario saveriano, voluta dalla famiglia e consegnata dalla nipote Emanuela Vanzetto con l'intento di raccogliere il suo stile e di portare avanti la missione e il messaggio da lui incarnati. Due i progetti sostenuti: il primo in Kenya, in collaborazione con il gruppo missionario fondato da Padre Marchetti a Rosà per l'educazione e formazione cristiana di due giovani ragazze, il secondo proprio a Rosà nel sostegno universitario di Ansah Nafisatu Wiafe, al quarto anno di giurisprudenza a Padova. Laici, sacerdoti, educatori, genitori, giovani laureati si sono confrontati su temi che hanno chiamato in causa le modalità dello stare insieme oggi, la condizione e lo stato dei rapporti, la necessità di guardare alla positività del progresso con uno spirito critico. Ad introdurre e moderare l'incontro lo psicologo e pubblicista Silvano Bordignon e il giornalista Lorenzo Parolin.

«Una borsa di studio missionaria ha senso ed è spendibile anche a casa nostra?».

Il confronto è partito dall'esperienza quotidiana di ognuno arrivando a toccare in alcune riflessioni anche le alte punte della filosofia e della teologia. C'è chi parla di società stanca e affaticata che, pur ottimista riguardo al progresso e lontana da scontate nostalgie nei confronti del passato, deve ammettere le proprie perdite e mancanze. Troppo alti oggi i numeri dei suicidi causati dalla depressione, che sarà la malattia più diffusa nei prossimi anni. Doveroso interrogare le coscienze per poter capire e agire. Ai grandi risultati in termini di sviluppo, corrisponde una evidente incapacità di comunicare in modo emotivo. Di fatto, la società oggi rischia di perdere emozioni e sentimenti. Si parla di crisi dello spirito, non solo in senso religioso, ma anche laico. Siamo in comunicazione col mondo tramite i social media, potente mezzo e strumento di apertura, siamo bombardati senza sosta da un immenso passaggio di dati e informazioni, ma siamo davvero in relazione con le persone? L'abbattimento dei confini della rete è senza dubbio un’opportunità che però va colta e vissuta nei giusti modi e tempi. Nello sconfinato spazio del contesto virtuale la società contemporanea assiste al declino dei sentimenti e delle relazioni. Recuperare la dimensione missionaria e relazionale significa anche riportare l’individuo dentro a confini e spazi in cui si realizzi la sua umanità. Contatto visivo, parola parlata, esperienze condivise nella dimensione semplice e diretta del rapporto umano che si conferma come il valore più alto e sempre richiede ascolto, stima, fiducia. Questo è quello che è necessario recuperare, questa è la ricchezza che deve colmare la povertà emotiva prodotta dal progresso. Più volte il ritorno è andato alla figura di Padre Marchetti, al suo atteggiamento nei confronti delle diverse povertà del mondo che chiamano tutti, senza distinzioni, a sporcare le proprie mani con chiunque, ad ampio respiro e con gioia.

«Viviamo di occasioni. Ovunque e nei confronti di chiunque. Siamo tutti alla ricerca delle stesse cose, ognuno nel contesto in cui si vive. Nelle domande più profonde siamo tutti uguali».

Ecco che allora la risposta all'essere missionari in una società evoluta e stanca è proprio il dovere di creare incontri umani, relazioni, di dare spazio al potere della parola detta, dello sguardo cercato, del contatto diretto. Che si parli all'interno del contesto cristiano o di un confine più ampiamente laico, la risposta non cambia. Fermarsi e guardarsi, parlarsi e ascoltarsi. Occhi negli occhi. Oggi è questa la vera rivoluzione.

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