Al processo "Miteni" finite le richieste di risarcimento che sono giunte a 250 milioni
Da giovedì prossimo la parola passa agli avvocati della difesa

Se giovedì della scorsa settimana, il conto dei risarcimenti chiesti alla Miteni che con le consociate Mitsubischi ed Icig, deve rispondere di inquinamento della falda acquifera che, estesa per 150 kmq tra le province di Vicenza, Verona e Padova, con 800 pozzi che fornivano le bellezza di 100 milioni di litri d'acqua all'anno, cosituisce il secondo serbatoio europeo nel suo genere, ieri, giovedì 27 marzo 2025, prima che dalla prossima settimana prendano la parola gli avvocati difensori, in Corte d'Assise a Vicenza, sono state presentate le utime richieste di risarcimento che così, da 200 è passato a 240 milioni gli euro pretesi dalle 250 parti civili insinuatesi in quello che è stato definito come il più grande processo per inquinamento mai celebrato in Europa.
L'accusa
L'accusa che coinvolge anche una quindicina di manager del gruppo, se ci avete seguito fin'ora, sapete essere quella di avvelenamento consapevole delle acque, disastro ambientale e bancarotta.
Le ultime parti civili
Ieri sono state 129 le persone che tramite i rispettivi avvocati hanno chiesto i danni:
- 59 persone residenti nel triangolo compreso tra le province citate, caratterizzato dalle più alte concrentrazioni di Pfas, le quali a suo tempo si erano sottoposte ad un monitoraggio promoso dalla Regione Veneto, per verificare dapprima la presenza e la concentrazione di Pfas nel sangue e, quando essa superava i valori di sicurezza indicati dall'Istituto Superiore di Sanità, anche ad ulteriori analisi per verificare l'insorgenza di altre patologie riconducibili ai Pfas. L'Avvocato Matteo Ceruti che le difendeva, l'ha presa alla lontana, richiamando addirittura il disastro del Vajont, gli inquinamenti del Petrolchimico di Marghera e quello di Porto Tolle, per giustificare l'epiteto di quarto disastro di sempre nel Veneto, dato all'inquinamento "Miteni".

- 70 persone erano invece patrocinate dall'Avvocato Cristina Guasti che ha giustificato le richieste dei suoi assistiti con motivazioni di ordine morale, esistenziale e psichico come la paura di ammalarsi, in soggeti consapevoli di essere stati esposti ad un inquinamento che ha inciso sulla loro vita quotidiana.

Argomentazioni surretizie? Giammai.
Uno potrebbe anche pensare trattarsi di motivazioni vaghe e difficilmente difendibili, almeno fino a quando non prendesse atto dei risultati di uno studio epidemiologico condotto dall'Università di Padova, secondo il quale in 30 anni - da tanto durava lo sversamento a valle dei pericolosi composti chimici utilizzati nel processo industriale della Miteni - nella "zona rossa" si sarebbero registrate ben 4.000 morti non attese.

A dare concretezza ai dati riportati dai loro avvocati difensori, le "Mamme no Pfas" hanno partecipato all'udienza indossando un maglietta istoriata con il nome dei loro figli a fianco del quale era riportato il valore di Pfas registratogli nel sangue.