Dal Veneto al Brasile «Cantando in talian»
Giorgia Miazzo e il suo progetto di ricostruzione della memoria storica e linguistico-culturale dell’emigrazione veneta nelle Americhe.
Dal Veneto al Brasile «Cantando in talian»
Ha coinvolto tutte le classi terze della scuola media Roncalli, con tre intense conferenze, il progetto «Cantando in talian» della docente, interprete, traduttrice e scrittrice Giorgia Miazzo. Un viaggio culturale e linguistico che tra marzo e aprile ha portato gli alunni indietro nel tempo alla scoperta di una pagina di storia che troppo spesso viene trascurata, se non dimenticata. Interessata alla cultura dell’America Latina, Giorgia Miazzo ha vissuto per diversi anni in Brasile a contatto con quelle comunità che ancora oggi mantengono quasi intatte le radici della terra veneta che fu abbandonata dal massiccio fenomeno dell’emigrazione. «Quella del Brasile – spiega la dottoressa Miazzo – è la prima comunità italiana che abbiamo al mondo con 30 milioni di discendenti, 12 milioni sono veneti. All’epoca furono 25 milioni le partenze. E’ d’obbligo studiare questo pezzo di storia. E’ un bagaglio culturale che ci appartiene, che deve essere liberato da ogni contorno politico e che dobbiamo difendere». L’obiettivo è quello di ricostruire la memoria storica e linguistico-culturale dell’emigrazione veneta nelle Americhe attraverso lo studio del fenomeno del «talian» o veneto, lingua oriunda parlata in America dagli emigranti.
Come è nato l’intero progetto?
«Il progetto nasce dieci anni fa in Brasile, sebbene poi le ricerche siano continuate anche negli Stati Uniti, in Canada, Uruguay, Paraguay, Argentina. Da linguista posso dire che le emigrazioni si guardano e si capiscono soprattutto dal punto di vista della lingua. Quello del Brasile è un caso di cristallizzazione culturale, linguistica e sociale: dopo generazioni, queste persone ancora parlano il veneto. E poi mantengono ancora usi e costumi che che ci appartengono. In Basile siamo alla sesta generazione e ancora le radici sono rimaste quasi intatte. Io sono arrivata lì come docente universitaria a insegnare italiano. Mi sono trovata circondata da persone che parlavano il nostro dialetto. Il mio desiderio fu quello di aprire un canale che potesse aiutare a conoscere questa storia. Presentandosi da loro con la lingua italiana in un certo senso si fa una violenza, c’è un fraintendimento storico importante. E’ quasi un crimine identitario e linguistico. Da qui è partita questa mia voglia di fare qualcosa per loro. E’ nata questa ricerca, poi durata vari anni, che ha dato vita a un lavoro con l’Università Ca’ Foscari, ora col Patrocinio dell’Università di Padova e della Regione Veneto per mantenere la lingua e la cultura veneta. Ne sono nati cinque libri, tre dei quali storici con archivi fotografici inediti e un libro didattico per insegnare il “talian” attraverso le musiche che, insieme alla religione, sono i pilastri di queste terre. 500 musiche tutte in veneto, alcune sono partite da qua altre sono nate là. Da questo ho sviluppato alcune attività didattiche affinché non si perda questa lingua e quindi questa cultura e identità».
Proporre questo ai ragazzi oggi, che senso ha?
«E’ una storia, a un passo da noi nel tempo, che purtroppo non viene affrontata né supportata dai libri didattici. Affrontarla vuol dire dare i ragazzi due chiavi di lettura: prima di tutto il recupero delle proprie radici e poi una lettura dell’immigrazione oggi. E’ un fenomeno sempre esistito. Quindi, liberi da ogni giudizio, siamo chiamati a guardare a tutto ciò come fonte di arricchimento. Oggi gli italiani di fatto stanno ripartendo con gli stessi numeri dell’Ottocento. Anche se in condizioni e in maniera diversa, la storia si ripete. Sapere che esistono italiani nel mondo, aiuta ad aprire gli occhi. Vorrei che tutto questo diventasse materia di studio nelle scuole. Sarebbe bello dedicare un’ora a settimana al recupero delle nostre radici per capire da dove veniamo e comprendere la storia oggi».