Un anno dopo Vaia: insieme per la rinascita
29 ottobre 2018: una tempesta sradica e devasta l’Altopiano di Asiago e d’intorni. Veneto e Trentino messi in ginocchio.
Un anno dopo Vaia: insieme per la rinascita
Il mondo, per l'Altopiano di Asiago, si è fermato lunedì 29 ottobre 2018. Sono stati stimati un numero come 41mila 491 ettari di boschi, tra Veneto e Trentino, che si sono arresi alla potenza della Natura.
La devastazione, la paura, lo sconcerto colma ancora oggi, a distanza di un anno, gli occhi di chi, raggiungendo le nostre zone di montagna si affaccia a vedere il mantello di alberi sradicati da una tempesta che ha raggiunto un vento di 200km/h. Uno spettacolo che non ha gli attori desiderati. Difficile poter descrivere, per chi non ha visto, un simile disastro ambientale. Caduti come stuzzicadenti più di 300mila abeti, quasi come se la Natura dovesse severamente farsi carico di dimostrare la sua dirompente forza brutale. C'è chi ha paragonato il tragico evento alla Prima Guerra Mondiale, come se tutti quegli alberi ricalcassero i soldati caduti sotto il fuoco nemico, i nemici caduti sotto lo stesso cielo di una Guerra di trincea, di stenti, di fame e di paura. Un gruppo di amici, uniti dall'amore e dalla passione per la montagna, Chiara Bonollo di Fara Vicentino, Ivo Gazziero di Isola Vicentina, Giorgio Poli di Fara Vicentino, Andrea Cumerlato di Isola Vicentina e Henry Hoogenveen di Fara Vicentino hanno intrapreso insieme un progetto per risanare il territorio:
«Dopo aver visto con i nostri occhi il danno subito dalle foreste ci siamo chiesti perché nessuno fa qualcosa a riguardo. Poi ci siamo resi conto che quel nessuno eravamo anche noi. Da qui è nato il nostro progetto».
Un anno dopo... quali sono le nuove consapevolezze?
«Le consapevolezze sono che "tanto è stato fatto ma tantissimo resta da fare!". Sul "tanto" poi ci sarebbe da argomentare in quanto le scelte sono state diverse e disparate e purtroppo forse non sempre coordinate. Quello che è emerso chiaramente è l'esistenza di due fronti: il Bosco ricrescerà da solo e bisogna aiutare la rinascita del Bosco ripiantando. Ecco per noi la risposta sta nel mezzo, ci sono sicuramente aree, soprattutto quelle impervie da raggiungere che la Natura gestirà da sola ma tante altre potrebbero essere aiutate con piantumazioni mirate tenendo conto assolutamente delle attuali e future evoluzioni climatiche e dei principi della biodiversità, su questo L'Università di Padova è sicuramente un ancora di salvezza».
Quali attività siete riusciti a mettere in campo?
«Abbiamo cercato d'informarci il più possibile in occasione di serate sull'argomento, presentazioni di libri... tutto quanto era possibile per cercare di capire da dove, il come, il durante ed il dopo la tempesta Vaia; abbiamo condiviso queste informazioni sul nostro sito, sulla pagina Facebook e da lì piano piano hanno cominciato ad arrivarci richieste di contatto, di incontrarci, di parlare, di raccontare Vaia dal nostro punto di vista e del nostro progetto Alberiamo l'Altopiano. Abbiamo partecipato a rassegne corali, feste di Alpini, abbiamo fatto attività con bambini delle elementari, abbiamo raccontato la nostra idea ed in tanti ci hanno sostenuto e continuano a sostenerci. Tante persone che non conoscevamo e che una volta incontrati sono diventati come una grande famiglia, una grande famiglia di Alberi».
Parlando di numeri... alberi piantati, contributi raccolti?
«La fase di piantumazione, nella maggior parte del territorio colpito deve essere ancora pianificata; il problema principale dopo la messa in sicurezza di case ed infrastrutture era ed è ancora raccogliere il più possibile del legname caduto, per poterlo utilizzare e per evitare che venga attaccato dai parassiti. Il tempo stringe. Attualmente abbiamo raccolto circa 9mila e 300 euro e considerando che la campagna è stata aperta neanche un anno fa siamo sbalorditi del seguito che ha avuto e della generosità di tanti; ricordiamo tanti e tanti che non conoscevamo ma che hanno creduto in noi».
Quanto ancora c'è da fare e cosa servirebbe per continuare a farlo nel migliore dei modi?
«Da fare come dicevamo c'é tantissimo, la fase di piantumazione è solo l'inizio di un processo di crescita di un albero. Partendo dal seme, nata la piantulina, posta la stessa in quello che sarà il nuovo bosco, bisogna proteggerla dai predatori, dalle intemperie, curarla e crescerla come un figlio finché non avrà la forza di farcela da sola. Tutte queste attenzioni devo essere decise, coordinate, applicate e naturalmente messe a bilancio. Bisogna trovare innanzitutto una o più Amministrazioni che vogliano credere fino in fondo a quest'idea».
Un panorama, quello in Altopiano, che ancora i nostri occhi faticano a digerire per tutta la devastazione. Quanti anni mettono in conto gli esperti perché il bosco ritorni tale?
«Ogni anno, mese, giorno che passa il bosco si muove, cresce, recupera, sicuramente fra una decina d'anni il paesaggio sarà diverso... ma quanto diverso potrà essere se lasciato in balia di se stesso e del tragico cambiamento climatico che stiamo vivendo? Come potranno tornare da soli i boschi? Come potranno tornare più forti e adattati al nuovo clima? Sicuramente bisogna aiutarli».
Aiuti arrivati da ogni dove. Quale messaggio positivo si può riscoprire da tutto questo disastro?
«Lo stesso che la Natura ci mostra ogni giorno unione, condivisione, sacrificio, quello che ognuno fa per se stesso lo deve fare e pensare per gli altri, è l'unico modo per far crescere un singolo, in un gruppo, in tutto il mondo... un albero, in un bosco, in tutta la Natura».
Un Natura severa: che messaggio ambientale possiamo ricavarne?
«La Natura c’è prima dell'umanità, c’é ora e ci sarà anche dopo; purtroppo l'uomo continua a pensare di poter dominare tutto dimenticando la pochezza del suo tempo biologico. Se l'uomo imparasse a convivere veramente e imparasse da tante "regole" che la Natura ogni istante applica nella più grande armonia, forse non ci sarebbero lezioni severe ma solo quello che abitualmente e correttamente viene chiamato fenomeno naturale».