«Aquiloni»: Il nuovo singolo di Michele Merlo
L’ultimo singolo, un intenso racconto di esperienza vissuta che parla di caduta e di rinascita, di solitudine e di riscatto.
«Aquiloni»: Il nuovo singolo di Michele Merlo
«Una canzone che mi ha salvato la vita». Così Michele Merlo definisce il suo ultimo lavoro, «Aquiloni», uscito lo scorso 20 settembre, da lui composto e prodotto da Federico Nardelli e Giordano Colombo. «Non è una canzone che salverà la musica italiana, ma sicuramente ha salvato la mia - spiega Michele - Ci ho messo dentro tutta la voglia di difendere quello in cui credo, di darmi il modo più autentico possibile attraverso la musica». Parla di vita, «Aquiloni», di silenzio, solitudine e dolore, ma poi di rinascita, di coraggio e di sogni. Il disagio umano e sociale di un’intera epoca è raccontato in un brano intenso e vero, voce di un artista maturo e cresciuto che svela le ferite raccolte sulla propria pelle e guarite con la forza e la tenacia delle proprie ragioni. «Sognare è un dovere in un mondo che è perso. E non importa se per sognare ti senti diverso. Non sei fatto per mollare. Questa paura di cadere è solo voglia di volare. Lasceremo la paura e torneremo a stare bene».
Perchè «Aquiloni» ti ha salvato la vita?
«E’ una canzone per tutti quelli che come me hanno delle difficoltà. Spesso chi si logora dentro non lo dice a nessuno, quindi ho deciso di farmi portavoce per chi, come me, ha l’anima fragile».
Quanto è difficile far sentire la propria voce e dare concretezza al proprio talento in un mondo in cui sembra facile proporsi? Cosa permette di distinguersi?
«Non esiste una regola, nessuno possiede una ricetta, tantomeno la verità. Il mondo musicale è talmente liquido e misto che non ha nemmeno senso intestardirsi. Io mi faccio sentire perché in poche parole canto quello che voglio, al di là delle forme e regole del mercato».
In che misura l'arte, nel tuo caso la musica, può essere un’àncora di salvataggio, una via di «guarigione»?
«Penso che l’arte sia una forma di distrazione, non sono un tifoso dell’idea che l’arte sia una terapia. (Poiché di terapia qualcosa ne so). Trovo che sia invece un buon modo per veicolare e districare le emozioni, sia positive che negative. A volte l’arte può essere motivo di riscatto, ma in tal caso il riscatto passerebbe per circuiti che per forza hanno a che fare con la fama, successo e simili».
Questo brano fa parte del tuo progetto tutto italiano, ormai in cantiere da un po'. Come prosegue?
«Il mio percorso è un continuo interrogarsi sull’effettiva importanza della musica nella mia vita e di conseguenza nella vita di chi mi ascolta. Molte volte, a dire la verità, mi ritrovo un po’ amareggiato poiché nell’era dei social è ormai solito fare a gara con chi ottiene maggior successo. Probabilmente sbaglio io, ma sono ancora uno di quelli a cui basta vedere la gente emozionarsi».
L'anno scorso avevamo seguito il tuo tentativo verso Sanremo. Ci riproverai quest'anno?
«Su Sanremo non mi voglio ancora esprimere, sono molto scaramantico!»